Chiese e Matrimoni nella storia della Cristianità







Chiese e Matrimoni nella storia della Cristianità:

la “sacramentalità dell’amore” sub specie Regni venturi.


Riflessioni sul “mistero sponsale in Cristo”,

nel “tempo dell’Avvento”, in “prospettiva ortodossa[1]


Dr Konstantinos Agoras

 

Ringrazio innanzitutto profondamente gli organizzatori di questo Colloquio dell’Istituto ecumenico-patristico “S. Nicola” per l’invito fattomi a partecipare, dedicato quest’anno alla problematica del matrimonio tra cattolici e ortodossi. Ragioni indipendenti dalla mia volontà non mi hanno permesso di essere presente “fisicamente” tra di voi, bensì solo “nello spirito” come direbbe l’Apostolo.

Tale invito fattomi qui, proprio accanto alla presenza della memoria di S. Nicola, cari amici, cattolici e ortodossi, mi onora particolarmente e mi tocca profondamemente. Per di più mi riempie di speranza, di gratitudine e di gioia. Perchè e in che modo? Per l’Avvenire dialogico ed ecclesiale – in Cristo Signore – delle nostre Chiese e nelle nostre Chiese. Per l’“Avvento stesso” nella Chiesa e della Chiesa, l’Una Sancta, la “Chiesa di Chiese” sposata paradossalmente dal e nel Signore, già e non ancora, nell’Avento paradossale e misterico del Regno avvenire.

Permettetemi dunque di partecipare all’approfondimento della tematica “sponsale-eucaristica” di questo Colloquio dialogico-teologico, in un modo strano a dir poco, spaesante, ispiratomi forse dalla mia presenza a S. Nicola, patrono del dialogo e forse pure delle “nozze future” tra cattolici e ortodossi; e ciò proprio nel “Tempo dell’Avvento nel Signore”. Non parlerò direttamente né di matrimoni in genere e neppure di matrimoni misti tra cattolici e ortodossi; bensì del “mistero dell’Avvento” - e del “mistero sponsale” nell’“essere ecclesiale” - da un punto di vista “liturgico-teologico ortodosso”.

 

1 - Nella fede, nella speranza e nell’amore (αγάπη)

In questo contesto, l’invito non potrebbe che riempirmi di speranza nel Salvatore nostro Gesù Cristo, “che è venuto”. Di gioia, nel ”Signore” nostro che sta “per venire”. E di fiducia nel Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, nel Cristo Gesù, l’unto di Dio (χριστός) e Messia di ogni Israele - e di ogni Chiesa, cattolica, ortodossa, evangelica - “che verrà”; senz’altro e nonostante il fatto che ignoriamo il quando, il dove e il modo suo. Sforziamoci di decifrarlo restando sempre più aperti agli imprevisti che ci potranno sorprendere, o addirittura sconvolgere.

Che verrà nelle Chiese che formano ancora adesso, ciascuna a “modo suo” (o a “modo Suo”?), ciascuna dal “suo punto di vista” (o dal “Suo punto di vista”?) una “Chiesa di Chiese”: ugualmente, a mio modesto parere, sebbene in modo storicamente diverso. Mi riferisco qui, cari amici, ai due modi di ecclesialità nelle “Chiese sorelle”. Ed ecclesialità significa “mistero sponsale, mistero liturgico e mistero eucaristico”. Ecclesialità, dal Cristo e in Cristo, dal Padre e al Padre, nella comunione dello Spirito Santo e della comunione nello Spirito Santo. Ecclesialità che sta nella sua comunione, prima di tutto e dopo tutto. Ma anche, in modo sinergico, di co-operazione, di con-venire, nella nostra partecipazione indivisibile e inconfusa a questa sua comunione unica e indivisibile. La comunione dello Spirito, in Cristo verso il Padre.

Appunto come lo invochiamo, gli uni e gli altri, in ogni celebrazione eucaristica: “La grazia del Nostro Signore Gesù Cristo + L’amore di Dio (e) Padre + La comunione dello Spirito Santo, sia con tutti noi. Amen.

Fatta umilmente questa invocazione liturgico-eucaristica, mi sia permessa una chiarificazione supplementare. Chiarificazione fondamentale per me riguardo all’uso dei termini “cattolico” e “ortodosso”.

Dal punto di vista ecclesiale, cioè dal punto di vista della “fede” in Cristo nell’Una Sancta, i termini, si sa bene, sono strettamente coestensivi. Parlando a titolo teologico personale (e spero anche ecclesiale), i termini “ortodosso” e “cattolico” sono qui intesi in correlazione al termine “Chiesa” e quindi tra di loro. Vanno dunque distinti in modo inseparabile e inconfuso in riferimento a due modi diversi di cattolicità ecclesiale nella storia. Perlomeno come essa si presenta di fatto nella nostra storia attuale[2]. Intendo dire la “cattolicità ortodossa” e la “cattolicità romana”. Due modi diversi di cattolicità (divergenti o convergenti?) dal punto di vista della storia che considera il “presente” a partire dal “passato”.

Visto però che la “fede” (in Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo e nello Spirito Santo) ha un senso decisamente escatologico nella storia (in via), decisamente epicletico più che meramente anamnetico, secondo la Lettera agli Ebrei se non altro (cap 11); visto anche che tale “fede” è inseparabile dalla “speranza” (nel Regno avvenire) e soprattutto dalla “carità” stessa, reciproca, sulla base della agape di Dio Padre, per di noi, in Cristo e nello Spirito. Perciò, in coscienza, non vedo per quale motivo potremo essere giustificati, davanti a Lui, nel nostro continuare ora a considerare il passato della nostra storia sotto il punto di vista dello stesso suo passato anzichè dal punto di vista del suo futuro “nella fede”: dal punto di vista del Regno avvenire e in prospettiva escatologica, in una prospettiva escatologicamente inversata nello sguardo di “fede”; Inversata in un modo iconologico di “rileggere” ora la storia in un modo “profetico” (nella storia) e “non circolare” (della storia stessa), ciclostilata per così dire. Intendo dire, nel modo del “Regno avvenire” (sub specie Regni Dei adventis) e dal punto di vista del suo futuro (avvenire), offerto qui ed ora a noi (da ricevere), nella “fede” alla sua Parusia: nella fede nel nostro Signore che viene e che verrà senz’altro. Questo mi sembra essere il vero senso liturgico dell’Avento nella storia liturgica delle Chiese, la sua vera celebrazione in atto, tra noi e con loro.

Credo profondamente che questo futuro – l’avvenire del Regno Parusiaco nella storia delle Chiese – sta proprio nascosto nel “mistero stesso dell’Avvento” che gli uni e gli altri celebriamo ora liturgicamente. E ciò perché alla “prima venuta” del Messia di Israele e Signore della Chiesa, che sta per “ad-venire” (evento) nella sua gloria messianica, parusiaca, apocalittica, seguirà senz’altro il suo secondo e glorioso Avvento, propriamente Parusiaco. E, quindi, la nostra vera vita di risurrezione nella gloria del Corpo suo. Tale perlomeno è atteso il Signore da noi. Ed è qui che dobbiamo stare attenti, gli uni e gli altri e ciascuno con tutti: attenti come “Chiesa vigilante”.

Attenti certamente a decifrare “i segni dei tempi” nel mondo, ma attraverso la nostra inversione iconologica nello sguardo. Con l’occhio fisso sulla storia, la nostra e del mondo, ma visti dal punto di vista del futuro, non del presente, neppure del passato. Credo profondamente che “essere Chiesa” – al plurale e spero al plurale comunionale – significa tra l’altro “essere all’avanguardia del suo ultimo e glorioso avvento”, della sua Parusia. Perché “Parusia” significa in greco “Presenza”: Preseza escatologica, proletticamente anticipata da Lui – e sacramentalmente partecipata da noi, ancora in parallelo purtroppo tra di noi – nell’“azione di grazie” (ευχαριστία), innanzitutto per le sue grazie (χάρις), “azione di grazie” in liturgia di ringraziamento (ευχαριστία), di gratitudine e di riconoscenza, la nostra verso il Padre, in Cristo e nello Spirito, nello Spirito escatologico del Regno avvenire.

 

2 - Una “prospettiva “ortodossa”?

Rivolgendomi ad un uditorio misto non mi è possibile evitare una doppia affermazione preliminare, che vi sembrerà paradossale, almeno all’inizio.

Non esiste “un’unica” teologia ortodossa e ancora meno una teologia “ufficialmente” ortodossa. E ciò perché non esiste “una sola” Chiesa “ortodossa”, bensì varie uniche Chiese “ortodosse” in comunione di “ecclesialità liturgica” le une con le altre; comunione ecclesiale sulla base della loro “comunione dossologica, escatologica e eucaristica (in Cristo risorto e nello Spirito escatologico) con il Padre: con la fonte di “vita vera” (incorrutibile) e di ogni benedizione e grazia (di rinnovamento), che discende sempre di “nuovo”, verticalmente verso di noi, in ogni “hodie liturgico” nella Chiesa, proveniente dal futuro ultimo della storia, dal Regno-avvenire, escatologico. Giusto per attirarci, per così dire, verso questo futuro, il nostro avvenire: di ciascuno e di tutti; in comunione ecclesiale misterica con il Padre nostro, in Cristo e nello Spirito. Come Chiesa di Chiese.

Che cosa allora potrebbe o non potrebbe significare una prospettiva “ortodossa”? Mi sia permesso qui di riferirmi a uno tra i maggiori teologi ortodossi viventi, al metropolita I. Zizioulas.

“Ogni volta che debbo trattare un tema ‘dal punto di vista ortodosso’ –riconosceva l’autore negli anni ’80 – mi trovo in grande difficoltà. Cos’è il ‘punto di vista ortodosso’? Come determinarlo? Su quali basi e a partire da quali fonti? Gli Ortodossi non hanno un Vaticano II a cui poter attingere. Non hanno una loro Confessione augustana e mancano dell’equivalente di un Lutero o di un Calvino per attribuire loro una precisa identità confessionale. Le sole fonti che possiedono in fatto di autorità sono loro comuni con il resto dei cristiani: la Bibbia e i Padri. Come si può, allora determinare una posizione che sia specificamente ortodossa sulla base di ciò che è comune con i non Ortodossi?” si chiedeva il nostro, ponendo con ciò la priorità dell’interrogazione sulla questione dell’ermeneutica stessa in teologia (ortodossa per lo meno) piuttosto che sulle posizioni o affermazioni teologiche degli uni e degli altri.

La risposta che si dava Zizioulas è che lo specifico “ortodosso” sta nei diversi presupposti ecclesio-misteriologici, degli uni e degli altri, sottostanti alle interpretazioni della “grande tradizione ecclesiale” (apostolica e liturgica, patristica e conciliare): di quella che chiamiamo teologicamente (e non in modo meramente storico) “la Tradizione” (come pure i “Padri”) della “catholica”, in Oriente come in Occidente. Ed è per questa ragione che poco fa mi sono riferito alla nostra esperienza liturgico-misterica della partecipazione “prolettica” e “paradossale” al “corpo di Cristo” (in senso ecclesiale-e-eucaristico) riferendomi al mistero per eccellenza, al “mistero dei misteri” (cfr. “i divini misteri”), alla liturgia eucaristica della Chiesa (di Chiese) come “Sacramentum futuri”.

La celebrazione eucaristia, o meglio la Divina Liturgia - delle nozze dell’Agnello, della glorificazione trina di Dio trinitario, e della festa del banchetto nuziale nella casa del Padre - è qui intesa globalmente come liturgia di ringraziamento, di gratitudine, in rendimento eucaristico di grazie. Ed è la liturgia misterica stessa che è vissuta in eucaristia e come eucaristia, come il mistero sacramentale per eccellenza della Chiesa come Chiesa ad extra (al Regno avvenire) - rivolta al Padre (nel Regno avvenire) per la pienezza dei suoi doni in Cristo; già ricevuti in anticipo o da ricevere nel futuro; doni ricevuti o da ricevere, poco importa (nella fede, nella speranza e nella carità); doni ricevuti o da ricevere dalla pienezza della comunione dello Spirito Santo (in senso verticale, ontologico) e nella pienezza della comunione dello Spirito Santo (in senso orizzontale, escatologico). Questo contesto soteriologico mi sembra essere un punto di partenza possibile per un approfondimento sulla tematica del colloquio.

L’“azione di grazie” (ευχαριστία) – cattolica e cosmica, escatologica e comunionale, sacramentale e profetica, cosmica e apocalittica – costituisce il fulcro, il contesto, il “Sitz im Leben” della sacramentalità stessa della Chiesa (sacramentum futuri) in tutti i suoi aspetti particolari nella vita umana e cosmica. È questa la ragione - liturgico-eucaristica e escato-sacramentale - nella Chiesa e della Chiesa che sottostà alla visione ortodossa del matrimonio. E che crea delle difficoltà ecclesiologiche, misteriologiche, ecumeniche e pastorali e chi sa che cos’altro ancora.

 

3 – Comunione sponsale “ecclesio-eucaristica”

in una “Chiesa di Chiese”

La comunione ecclesiale di ognuna delle Chiese con le altre (in Cristo e nello Spirito verso il Padre) passa prima di tutto dal Padre stesso nel suo Regno escatologico ove ci aspetta tutti, se posso dire, nella sua dimora (“ascensione” ecclesiale nello Spirito, in Cristo, verso il Padre). Di là poi tale comunione ecclesiale, escatologicamente rinnovata, discende verso di noi nella storia del nostro mondo come dono paterno “di bontà e di perfezione” (discesa ecclesiale nello Spirito, in Cristo e verso la storia).

Vadano qui segnalati tre punti che mi sembrano importanti nella percezione ecclesiale stessa – in prospettiva ortodossa – del “mistero di comunione pneumatica” delle Chiese: a) il suo contesto iconico-liturgico b) il suo fondamento escatologico-trinitario c) il suo fulcro eucaristico-ecclesiale.

Il doppio movimento “eucaristico” di ανάβασις (in salita, dal presente verso il futuro ove ci aspetta il Padre) e di κατάβασις (in discesa, dal futuro da dove sta il Padre, verso il presente) è veramente un viaggio di iniziazione “pneumatica” alla vera vita (nello Spirito, in Cristo, con il Padre), al futuro di ogni futuro, al futuro ultimo e definitivo della vera vita (sacramentum futuri), con il quale l’iniziazione cristiana nel suo insieme trova la sua perfezione (misterico-sacramentale). Il ritorno però dal futuro ultimo e definitivo della vita (dal Suo regno-in patria) verso il presente (verso la nostra storia-in via) fa parte integrante del viaggio al futuro definitivo della storia e della vita, alla “vera storia” e alla “vera vita” avvenire (del Cristo totale, escatologico e glorioso). Questa “vera vita” e questa “vera storia” avvenire diventano il movente, il principio e il fine della nostra missione nel mondo.

Questo è il motivo, mi sembra, per il quale la Chiesa – il corpo di Cristo nel mistero del Regno di Dio e Padre – non può che essere una realtà paradossale, cioè “misterico-sacramentale”: una realtà stricto sensu “escatologica” che peregrina paradossalmente nella “storia”, con una gamba lì (nella meta-storia, quella del “Regno”) e l’altra gamba qui (nella storia, quella del “mondo”) per così dire. Detto ciò, potrei benissimo capire una vostra eventuale perplessità. Ma la “Chiesa” nel suo mistero mi sembra – anzi nel mistero del Cristo totale, escatologico – prima di raggiungere la sua stabilità nel “Regno” (in patria), potrebbe difficilmente evitare di zoppicare camminando nella storia (in via). Perchè cammina per così dire con “disparità di gambe” (una escatologica, l’altra storica).

Vogliate scusarmi per questa parafrasi. Lo scopo era di farvi intravedere innanzitutto la visione ortodossa (se non comune) della paradossalità intrinseca (sacramentale) della Chiesa nella storia (in via), ma anche – e più profondamente – il fondamento ultimo (e quindi primo in verità) della sua sacramentalità paradossale nel Regno (in patria). Quello che è chiamato solitamente, presso gli uni e presso gli altri “sacramento” – o meglio “mistero sacramentale” nel mio linguaggio ­ indica in prospettiva ortodossa una realtà paradossale nella storia, il fondamento della quale sta nascosto con Cristo nel Regno escatologico di Dio e Padre (da dove il Cristo regna). La Chiesa stessa, in quanto corpo di Cristo in misterio (εν μυστηρίω), è tale e diventa tale di “nuovo” ogni volta che partecipa in azione di grazie e sacramentalmente alla vita misterica del Regno avenire (εν ευχαριστία).

Situati in questa prospettiva, bisogna non perdere di vista che il termine “ortodosso” fa riferimento prima di tutto - e in ultima analisi - alla “verità” permanente e “cattolica” del mistero stesso di Cristo nel suo corpo ecclesiale (eucaristico e dossologico), e non solo alla forma storica (culturale e confessionale) del cristianesimo orientale bizantino-slavo. La connotazione del termine “ortodossia” è strettamente ecclesiale, cioè “misterica” (in senso paolino) e in ultima analisi “escatologica” (parusiaca); non semplicemente “confessionale” (in senso confessionalista) o “storico-culturale” (in senso epocale). Il suo contenuto coincide con quello del termine “cattolicità” in riferimento al mistero di Cristo nel contesto globale (ανακεφαλαίωσις) e nella prospettiva escatologica (βασιλεία του Θεού και Πατρός) dell’“economia paterna”.

Questa è una prospettiva “ortodossa” la quale determina il mio contesto di comprensione – e quindi il significato – dei termini “sacramentalità” e “amore”, “sponsalità” e “eucaristia”. Che cos’altro potrebbe in fondo significare i termini “ecclesiale” e “ortodossa” per una Chiesa di Chiese che noi crediamo “cattolica” e “apostolica” in comunione di fede con la “Chiesa indivisa”? Onestamente, credo che non possiamo né confondere ma neppure ridurre l’una a l’altra, la “cattolicità ortodossa” e la “cattolicità romana”, nelle due Chiese sorelle, ancora disgiunte.




4 - L’Alleanza sponsale nell’essere ecclesiale in Cristo alla luce escatologica dell’Avvento

La celebrazione liturgica dell’Avvento è per noi, prima della celebrazione della Natività del Signore, la nostra “ora liturgica comune”. Il mistero stesso dell’Avvento – celebrato con tanta gioia, specie in Occidente - proietta una nuova luce sul mistero salvifico della Liturgia eucaristica nella storia, della Liturgia ecclesiale, nella sua eucaristicità stessa, profetica per eccellenza: “essere ecclesiali come eucaristia” significa anche “essere ecclesiali come profezia”: profezia di Cristo che viene nel suo Regno, del Regno del Padre che ci aspetta sempre. Profezia eucaristica e sacramentale” nelle nostre celebrazioni eucaristiche, in Cristo e nello Spirito verso il Padre. Profezia di questo mistero dell’avvento nella storia, in tutta la sua profondità escatologica: del “compimento definitivo di ogni alleanza in Cristo, sigillata nel suo stesso corpo e attraverso il suo stesso sangue di vita; “corpo di Cristo”, in senso personale e escatologico, in senso eucaristico e ecclesiale, corpo di Cristo, risorto, asceso e atteso: di Cristo che è venuto, che viene e che verrà nel suo corpo.

La categoria biblica di “alleanza”, di promessa e di compimento (nella promessa) mi sembra essere in rapporto stretto con la tematica della celebrazione sacramentale delle “nozze” (matrimonio), soprattutto se vista alla luce dell’evento litugico dell’avvento in prospettiva escatologica nel Regno (cfr. le “nozze dell’Agnello”). Avvento e Pasqua, Pentecoste e Parusia (avvento nella novità escatologica alla luce della Parusia): il mistero ecclesiale del tempo non è propriamente ciclico ma tendente verso l’escaton (έσχατον), la Parusia e il Regno “a venire” (e “avvenire”).

Questo periodo messianico ed escatologico dell’avvento di Cristo e in Cristo, della nuova ed eterna alleanza nel suo proprio corpo, mi sembra essere in rapporto stretto sia con la tematica del mistero sponsale della Chiesa in Cristo visto a partire dal suo orizzonte ultimo e apocalittico (le nozze dell’Agnello con la Chiesa) sia con la tematica del mistero liturgico-eucaristico, del mistero sponsale per eccelenza (bensì in modo prolettico, paradossale e profetico) della Chiesa in Cristo e di Cristo nella Chiesa. Cioè dell’avvento del Regno di Dio nella storia del Re in persona.

Questo “compimento” dell’alleanza tra Dio e l’Umanità nel corpo di Cristo è veramente paradossale.

Al compimento definitivo (pasquale) della nuova ed eterna alleanza nel suo corpo personale, - al Risorto e asceso con il suo corpo storico, il Cristo Signore - corrisponde strettamente la promessa decisiva del suo ultimo e glorioso avvento e compimento, escatologico e cosmico. Il mistero profondo della sua Alleanza, sarà manifestato a tutti e a tutto nella ricapitolazione gloriosa di tutti e di tutto, nella pienezza eucaristica e nella gloria apocalittica, nello splendore del suo corpo ecclesiale (Totus Christus, caput et corpus - Agostino).

La profondità ultima di tal compimento si manifesta nella glorificatio in eucharistia della Chiesa nella storia, quella della salvezza, la quale continua in Lui e si misura nella nostra attesa escatologica della sua Parusia, nell’attesa decisiva (escatologica) del Risorto atteso. Questa alleanza in Cristo, pur essendo già compiuta nella sua propria Alleanza nel suo stesso corpo (crociffisso, morto, risorto, asceso e atteso nella gloria), nel suo stesso corpo eucaristico che è la Chiesa “in misterio” (pasquale, pentecostale, escatologico) contiene in sé il mistero propriamente “pneumatico” della “ricapitolazione escatologica”. E da qui possiamo meglio intendere il grande mistero secondo Cristo e la Chiesa, sposata in vista della ricapitolazione escatologica. Ma pure il vero senso del matrimonio in Cristo tra uomo e dona, come “sacramento dell’amore”: di pericoresi dell’uno nell’altro e in Cristo a immagine somigliante della pericoresi ricapitolante, escatologica e apocalittica, secondo Cristo e la Chiesa.

Questo - tra l’altro - mi sembra essere il “grande mistero” della “ricapitolazione di tutto e di tutti”, del mondo e della storia, nel Corpo del Cristo parusiaco, escatologico e apocalittico.

La problematica sul sacramento del matrimonio - o meglio sul mistero sacramentale delle “nozze” - ci rinvia direttamente al “mistero nuziale” nella Chiesa. Riconosco volentieri che questa tematica innanzitutto ecclesiologica, oltre che misteriologica (o sacramentale, se preferite), coincide bene con il periodo liturgico dell’“avvento” nel suo mistero escatologico. Nella nostra prospettiva il “sacramento dell’amore” (G. Crisostomo) o “delle nozze” (matrimonio) rinvia al “mistero dell’alleanza nel corpo di Cristo” (Eucaristia-Chiesa) e quest’ultimo al mistero del “regno avvenire” (escatologia, la vera protologia). Per dirlo parafrasando leggermente Massimo il Confessore: Dopo la caduta, badate bene, non è dall’inizio (“prelapsario”) che la fine ultima si fa mostrare, ma viceversa; è dalla fine ultima che l’inizio vero ci appare.

 

5 - Avvento, Ricapitolazione e Liturgia eucaristica-sponsale

 “Avvento” significa innanzitutto “alleanza”, “promessa”, “compimento” e soprattutto “mistero”: il mistero dell’economia di Dio secondo la sua ottica ultima e fondante (σκοπός); non secondo la nostra. Il contenuto del “mistero” è “storico-salvifico” e la sua ottica è “escatologica”, non protologica (cioè non secondo la nostra ottica storico-temporale). Ora in contesto liturgico l’avvento, “anamnetico-e-epicletico”, è il periodo temporale più specifico in cui la Chiesa, “facendo memoria” della “prima venuta nella carne” del suo Signore, “attende con impazienza” la sua “ultima e gloriosa Parusia” (presenza escatologica). Ed è quella che il libro dell’Apocalisse profetizza riferendosi alla discesa della Gerusalemme celeste e alla celebrazione delle nozze dell’Agnello –escatologiche – che celebriamo anticipatamente, partecipando proletticamente, nella Divina Liturgia, al banchetto festivo nel Regno. La Liturgia eucaristica costituisce il sacramento per eccellenza e il fulcro di tutta la costellazione sacramentale nella Chiesa come sacramenti del Regno.

L’“avvento liturgico” dunque, di cui l’orientamento è escatologico nella storia (non meramente storico, o “storiologico” per così dire, come uno potrebbe facilmente pensare) non è affatto senza rapporto con il “mistero nuziale”, secondo il Cristo e la Chiesa, escatologico, paradossalmente (cioè sacramentalmente) presente nella storia, in maniera nascosta da decifrare. Tal “mistero nuziale” ha la sua ultima verità e l’ultimo fondamento nelle stesse “nozze apocalittiche dell’agnello”, quelle del “Regno venturo”.

Una interrogazione sul senso del sacramento delle nozze celebrato in Ecclesia, non potrebbe che attirare la nostra attenzione sulla stessa sacramentalità nuziale “nella Chiesa” (in Ecclesia), “secondo Cristo” (in Cristo) nello Spirito Santo e davanti al Padre (verso di Lui). Questo mi sembra essere il fulcro delle nostre difficoltà, presso gli uni come presso gli altri, se non altro riguardo al tema “matrimonio ed eucaristia” nel contesto delle interrogazioni sui matrimoni misti tra cattolici e ortodossi.

Nella Lettera agli Efesini l’amore espresso tra i coniugi è visto come un “grande mistero” e ciò in proporzione al “mistero nuziale” d’amore “secondo Cristo e la Chiesa” tra Cristo e la Chiesa. Si tratta qui di un’analogia di proporzionalità, come si suol dire, non lo dobbiamo perdere di vista. È per questa ragione mi sembra che Giovanni Crisostomo parla del “sacramento dell’amore” riferendosi ai coniugi uniti personalmente “in Cristo” (nel loro battesimo) e anche tra di loro (attraverso il loro matrimonio in Lui). Premetto che ogni volta che si fa riferimento all’espressione “in Cristo”, la si debba intendere in modo soteriologico trinitario. Come cioè “in Cristo e nello Spirito verso il Padre e a partire dal Padre”. Detto ciò, il nostro battesimo “in Cristo” ci unisce a lui personalmente in modo misterico-nuziale nel contesto comunionale più vasto, quello della Chiesa, “in Cristo”.

* * *

Ogni prospettiva sacramentale riguardo al matrimonio -nell’eucaristia e in eucaristia e come eucaristia - non potrebbe fare l’economia di un interrogarsi più profondamente sul senso misterico-sacramentale della sponsalità e dell’eucaristicità stessa “della Chiesa” e “nella Chiesa” e “come Chiesa”: della Chiesa nel suo atto stesso (liturgico-sacramentale) di “essere Chiesa”. Di essere cioè la “sposa vera e unica di Cristo”, quella sposa che lui si è scelto come sposa[3] e che lui stesso predilige in modo unico in mezzo a tutto il mondo (a fovore di tutto il mondo). La Chiesa è la Sposa per eccellenza, sposata al suo unico Capo e Sposo in modo veramente mirabile:  essendo cioè chiamata, scelta da lui, è (unita) e viene (unita) e verrà (unita) con lui e in lui “in eucaristia” (in eucharistia), facendo con lui e in lui “un solo corpo” (sacramentale-eucaristico) e in “un solo spirito” (pneumatico -escatologico).

Vi ringrazio dell’attenzione paziente e vi auguro di tutto cuore “buon Natale”.                                                        



[1] Relazione al XVI Colloquio Cattolico-Ortodosso della Facoltà Teologica Pugliese – Istituto ecumenico-patristico sul tema “I matrimoni misti tra cattolici e ortodossi: Aspetti teologici, canonici e pastorali” (Bari 17 dicembre 2010).

[2] Saranno forse dei modi ecclesiali nella storia intrinsecamente divergenti o forse anche convergenti tra di loro? Convergenti o divergenti: da “dove” (sito) e in che prospettiva (ottica)? Questo mi sembra essere il punto fondamentale tra noi da approfondire in comune: il senso “ecclesiale” di “cattolicità”, nella Chiesa (di Dio e Padre) e della Chiesa (del Cristo Signore) e come Chiesa (nella “pienezza-e-presenza”, escatologica, dello Spirito Santo). Non ci facciamo delle illusioni. Prova ne sia, tra l’altro, la questione presente sul senso teologico e ecclesiale del “matrimonio” nei “matrimoni”, specialmente quelli “misti”. Da questo punto di vista; non soltanto da un punto di vista di “accomodamento pastorale”. L’ultimo, non reggerebbe senza un approfondimento previo del fondo teologico-liturgico, sottostante alle questioni pastorali. Lo sforzo adesso, è di sollevare delle questioni remote, offrendo eventualmente, degli elementi di riflessione ulteriore comune. Elementi che vanno ben al di là dei soli matrimoni misti (e del solo periodo liturgico dell’Avvento) e che toccano quello che mi sembra essere un aspetto decisivo del problema. Di un aspetto che divide le stesse Chiese in se stesse in quanto Chiese, dividendo in seguito le famiglie in quanto “miste”.

[3] O in una prospettiva francamente trinitaria del mistero dell’elezione, si dovrebbe forse dire: “che gli è stata data come Sposa (la Chiesa) dal Padre Suo e nello Spirito paterno”. Perchè qui la “Sposa” è tutta l’umanità con la sua storia intera che il Figlio di Dio ha assunto in sé incarnandosi dallo Spirito Santo nel grembo materno della Vergine Maria facendosi “Figlio dell’uomo”, l’uomo per eccellenza, l’uomo nella sua piena verità escatologica, l’ultimo Adamo. E ciò, senza minimamente cessare di essere colui che era, che è e che sara: “il Figlio unigenito” del Padre, il Suo “unico” in senso personale assoluto.
 
 
 

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